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lunedì 5 marzo 2018

SINTESI DELLA LEGGE DELEGA DI RIFORMA DEL TERZO SETTORE a cura del senatore Giorgio Santini

I NUMERI DEL TERZO SETTORE IN ITALIA
Capillare, produttivo, in costante e rapida espansione. Il Terzo settore rappresenta una delle realtà economiche, sociali e giuridiche più rilevanti e dinamiche del nostro paese. Nel corso degli anni, il mondo del non-profit e il network degli enti e delle associazioni che rientrano in questa categoria, si sono arricchiti e sviluppati su tutto il territorio nazionale. L’Istat rileva che, nel decennio 2001-2011, il settore ha registrato una crescita superiore a qualunque altro settore produttivo italiano, con un incremento del 28 per cento degli organismi e del 39,4 per cento degli addetti. Sono quasi 5 milioni i volontari che prestano servizio gratuito, 680 mila i dipendenti, 270 mila i collaboratori esterni e 6 mila i lavoratori temporanei. Una galassia che coinvolge il 6,4 per cento delle complessive unità economiche attive. Ma cosa è il Terzo settore? L’articolo 18 della Costituzione sancisce che «i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». Un diritto-cardine per ogni Stato liberale. Alcune associazioni assumono però un rilievo particolare per il loro contributo pubblico in termini di attivazione di processi solidaristici e di capacità coesiva. Il primo intento del provvedimento in oggetto è quello di riaffermare in questi termini l’identità del settore. Settore che è in realtà una costellazione, rappresentando una delle risorse più variegate e importanti del tessuto socio-economico italiano, anche sotto il profilo della tutela sociale. Il 38 per cento ha natura mutualistica, orientando la propria attività sui bisogni degli associati; la maggioranza è invece tesa al benessere della collettività. La stragrande maggioranza di queste associazioni – i due terzi – ha entrate inferiori ai 30 mila euro. Notevole il peso della componente non-profit nell'assistenza sociale: coinvolge 225 mila addetti, pari al 33,1 per cento del totale. Quanto alle attività, il settore della cultura, sport e ricreazione assorbe oltre 195 mila realtà, seguito dall’assistenza sociale, con 25 2 mila realtà, dalle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi, che esprime 16 mila istituzioni e dall’istruzione-ricerca, con 15 mila operatori sul territorio. Sotto il profilo della distribuzione geografica, il Terzo settore è cresciuto in particolare nelle aree forti del Centro e del Nord: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Lazio sono le regioni maggiormente coinvolte.
GLI ATTORI DEL NON-PROFIT (NELLA GIUNGLA DELLE NORME)
La galassia del Terzo settore è composta da una serie di attori diversi per organizzazione del lavoro, status giuridico, struttura.
Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), disciplinate dal decreto legislativo n. 460 del 1997, che riconosce a tali realtà un regime tributario di favore in considerazione delle finalità di solidarietà sociale perseguite. Possono dunque qualificarsi come Onlus le associazioni con o senza personalità giuridica, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e altri enti di carattere privato purché perseguano finalità di solidarietà sociale. Vi rientrano inoltre tipologie che troviamo in seguito elencate, quali le Ong o le organizzazioni di volontariato. La normativa di riferimento non indica quindi una tipologia giuridica aggiuntiva di diritto civile, ma una specifica categoria di diritto tributario.
Le organizzazioni non governative (Ong) specializzate nella cooperazione allo sviluppo e regolamentate dalla legge n. 125 del 2014 che definisce una nuova governance del sistema della cooperazione attraverso l’istituzione di una serie di organismi partecipati dalla società civile e dai partenariati internazionali.
Le organizzazioni di volontariato, regolamentate dalla legge n. 266 del 1991, che definisce il volontariato come attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. La legge non individua i settori nei quali le organizzazioni devono operare e prevede che possano assumere forma giuridica compatibile con lo scopo solidaristico. Tra le fonti economiche accessibili a tali organizzazioni, oltre alle sottoscrizioni pubbliche e private, da ricordare anche il Fondo previsto dall’articolo 15 della suddetta legge 266 del 1991, istitutiva dei centri di servizio per il volontariato (Csv).
Le cooperative sociali, di cui al Codice civile (art. 2512), sono destinate dalla legge n. 381 del 1991 ad occuparsi della gestione dei servizi socio-sanitari (tipo A) o allo svolgimento di attività produttive finalizzate all’inserimento di persone svantaggiate (tipo B). Le cooperative sono caratterizzate dal voto capitario dei soci, vale a dire dal fatto che ogni socio ha diritto a un voto in assemblea, indipendentemente dal valore della propria quota di capitale sociale.
Le associazioni di promozione sociale, istituite dalla legge 383 del 2000. Possono essere associazioni riconosciute e non, movimenti e gruppi, purché svolgano attività di utilità sociale a favore di associati o terzi, senza scopo di lucro e garantendo il rispetto della libertà degli associati. Si esclude espressamente che rientrino nella categoria i partiti politici, le organizzazioni sindacali e professionali e le associazioni che pongano limitazioni alle condizioni economiche degli associati o discriminazioni in relazione all’ammissione dei medesimi.
Le imprese sociali, introdotte dalla legge n. 118 del 2005 e disciplinate dal decreto legislativo n. 155 del 2006. Sono «organizzazioni private senza fini di lucro che esercitano, in via stabile e principale, un’attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale»: una qualificazione che può essere assunta da soggetti costituiti con qualsiasi forma giuridica. Tra i soggetti che compongono il Terzo settore sono i più orientati al mercato, dal momento che svolgono normale attività imprenditoriale e sono iscritti al Registro imprese della Camera di commercio. Le imprese sociali devono, per loro natura, rispettare i contratti di lavoro e ascoltare gli stakeholders. Prevedono regole specifiche per il personale impiegato e vincoli sui beni o servizi prodotti, che devono perseguire obiettivi di utilità sociale.
UNA RIFORMA NEL SEGNO DELLA PARTECIPAZIONE
La fotografia del settore restituisce un panorama eterogeneo sia nelle forme delle realtà operanti, sia nella disciplina che ne regola le attività. La forma prevalente è quella dell’associazione non riconosciuta, cioè priva della personalità giuridica, che copre il 66,7 per cento dei casi. Segue la tipologia dell’associazione riconosciuta, con personalità giuridica e autonomia patrimoniale, che riguarda il 22,7 per cento delle realtà. Importante anche l’apporto delle cooperative sociali (3,7 per cento) e delle fondazioni (2,1 per cento). Altre forme giuridiche riguardano il restante 4,8 per cento del comparto. A tale eterogeneità nelle forme associative ha corrisposto finora una disciplina di riferimento frammentaria e disorganica. L’insieme delle fonti di diritto coinvolge, da una parte, le norme di carattere generale sulle entità con finalità altruistiche contenute nel codice civile e, dall’altra, una pletora di specifici interventi legislativi settoriali, anche di natura tributaria e fiscale, che è andata aumentando in volume e complessità nel corso degli anni. Grava l’assenza di una definizione normativa “positiva”, che vada oltre la caratterizzazione in negativo dell’assenza di fini di lucro (non-profit). Non deve dunque stupire se per lungo tempo non si sia registrata una piena concordanza di significati in ordine agli elementi caratterizzanti il Terzo settore. Solo puntuali interventi normativi e giurisprudenziali1 hanno tentato di meglio definire il perimetro delle realtà interessate. Negli anni, si sono andate profilando di fatto tre condizioni essenziali: la natura privata dei soggetti, l’assenza dello scopo di lucro e lo svolgimento di attività socialmente rilevanti. Tuttavia, nell’ordinamento italiano, è mancata finora una disciplina organica che individuasse e valorizzasse a pieno le modalità di azione di una sfera che risponde a logiche diverse rispetto all’impresa di mercato. «Non dunque una semplice riserva, ma un nuovo spazio, sociale e giuridico, in cui la società civile emerge come soggetto collettivo. Uno spazio in cui la persona non ricopre più soltanto il tradizionale ruolo di destinataria di beni e servizi, ma diventa attrice essa stessa nel campo economico e sociale» (Fondazione Astrid). Questo lo spirito di partecipazione e sussidiarietà che anima la legge delega per la riforma del Terzo settore. Obiettivo del provvedimento è riorganizzare, uniformare e coordinare il comparto, anche attraverso l’armonizzazione degli incentivi e degli strumenti di sostegno, al fine di edificare un rinnovato sistema che favorisca la partecipazione attiva e responsabile delle persone, singolarmente o in forma associata, per valorizzare il potenziale di crescita e occupazione insito nell'economia sociale.
GLI ELEMENTI DELLA RIFORMA
Finalità della legge delega
Spetta all'articolo 1 individuare e disciplinare la finalità e le linee generali dell'intervento normativo. Il testo prevede che il Governo adotti, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi volti a sostenere la libera iniziativa, personale e associativa, finalizzata al bene comune, all’incremento dei livelli di coesione e protezione sociale e all'inclusione e il pieno sviluppo della persona. Il Terzo settore viene qui definito “in positivo”, non è più mera attività non-profit, ma «il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi». Vengono esplicitamente esclusi dal novero i partiti politici, le fondazioni bancarie, i sindacati, gli organismi di rappresentanza professionali e quelli categoriali.
Principi e criteri della delega
L'articolo 2 individua i criteri generali cui devono uniformarsi i decreti legislativi attuativi della delega, tra cui la garanzia del più ampio diritto di associazione, la promozione dell'iniziativa economica privata svolta senza fini di lucro, il riconoscimento dell’autonomia statutaria degli enti. Particolare importanza è data alla semplificazione della normativa vigente. Associazioni e fondazioni nel Codice civile
I principi di revisione del Codice civile in ordine alla disciplina sulle associazioni e sulle fondazioni trovano spazio nell’articolo 3. Tra le linee guida indicate, la semplificazione del procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica, l’aggiornamento della disciplina sul regime della responsabilità limitata degli amministratori, il consolidamento delle garanzie dei soci e una nuova regolamentazione per fondazioni o associazioni che svolgano rilevanti attività imprenditoriali, il procedimento per ottenere la trasformazione diretta e la fusione tra associazioni e fondazioni, nel rispetto del principio generale della trasformabilità tra enti collettivi diversi introdotto dalla riforma del diritto societario. Scopo di tali linee guida è far emergere realtà medio-grandi, incoraggiandole ad assumere personalità giuridica.
Un codice per il Terzo settore
L'articolo 4 stabilisce i criteri per la realizzazione di un nuovo codice del Terzo settore, che raccoglierà la disciplina in materia dopo l’entrata in vigore di tutti i decreti delegati. è evidenziata la necessità di istituire un registro unico del settore. Si profila dunque il superamento della molteplicità dei registri locali e nazionali. Il nuovo registro unico, la cui responsabilità di gestione dovrà essere posta in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si porrà come porta di accesso ai benefici fiscali. L’iscrizione dovrà essere obbligatoria per i soggetti che si avvalgono di finanziamenti pubblici, europei o di fondi privati raccolti attraverso pubbliche sottoscrizioni. Iscrizione tassativa anche per le realtà che esercitano attività in convenzione con enti pubblici. Per evitare forme di dumping contrattuale, si stabilisce che le imprese del Terzo settore dovranno garantire, negli appalti pubblici, condizioni economiche non inferiori a quelle previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro adottati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Attività di volontariato, promozione sociale, mutuo soccorso
L'articolo 5 individua i principi che devono ispirare una riforma organica della disciplina in materia di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso. Viene richiamata in particolare la necessità di valorizzare i principi di gratuità, democraticità e partecipazione dell’iniziativa volontaristica. A tal proposito, i decreti legislativi dovranno introdurre criteri e limiti relativi al rimborso spese per le attività dei volontari, preservandone il carattere di gratuità e di estraneità alla prestazione lavorativa. Si delega inoltre il Governo ad intervenire per aggiornare, armonizzare e coordinare la normativa vigente. Si profila inoltre un intervento sul ruolo dei centri di servizio per il volontariato, previsti dalla legge n. 266 del 1991 e incaricati di fornire formazione, supporto tecnico e sostegno alle piccole associazioni del territorio. I centri di servizio dovranno acquisire personalità giuridica ed essere guidati da organi di coordinamento di livello regionale, ma senza che questo comporti spese a loro carico. è stato inoltre riconosciuto il loro accreditamento e il loro finanziamento stabile, sulle basi di un programma triennale, con le risorse delle Fondazioni di origine bancaria. Si prevede, inoltre, il superamento del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l'associazionismo di promozione sociale, attraverso l'istituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore, quale organismo di consultazione degli enti del Terzo settore a livello nazionale, la cui composizione valorizzi il ruolo delle reti associative di secondo livello.
Rilancio dell’impresa sociale
L’articolo 6 si propone l’obiettivo di rilanciare l'impresa sociale, istituita nel 2006. In coerenza con quanto indicato dalla Commissione europea al Parlamento europeo nel 2011, si richiede di definire tale soggetto come «organizzazione privata che svolge attività d'impresa per le finalità civiche, solidaristiche e di mutuo soccorso di cui alla legge e che destina i propri utili prioritariamente al conseguimento dell'oggetto sociale adotta modalità di gestione responsabili e trasparenti, favorisce il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività e quindi rientra nel complesso degli enti del Terzo settore». Si fa esplicito riferimento alla necessità di determinare gestioni “responsabili e trasparenti” e al bisogno di definire una disciplina che preveda forme di remunerazione 6 del capitale sociale che assicurino la prevalente destinazione degli utili al conseguimento dell'oggetto sociale, da assoggettare a condizioni e comunque nei limiti massimi previsti per le cooperative a mutualità prevalente, con previsione del divieto di ripartire eventuali avanzi di gestione per gli enti per i quali tale possibilità è esclusa per legge, anche qualora assumano la qualifica di impresa sociali. Prevista infine l’acquisizione di diritto dello status di impresa sociale per le cooperative sociali e per i loro consorzi. Ne risulta un impianto coerente con quanto chiesto dall’Europa, che ha definito e individuato nell’impresa sociale un attore fondamentale dell’economia sociale.
Controllo e vigilanza
L'articolo 7 individua i criteri che dovrà seguire la riforma delle funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo sugli enti del Terzo settore. Sarà il Ministero del lavoro, in collaborazione con i ministeri interessati e con l'Agenzia delle entrate, a doversene occupare. In particolare, i termini e le modalità per il concreto esercizio della vigilanza del monitoraggio e del controllo sono definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Disposizioni in materia anche negli articoli 4 e 6, che prevedono la necessità di consolidare le funzioni di vigilanza interna ai soggetti con il rafforzamento dei collegi sindacali. L’ articolo 7 indica inoltre i criteri per realizzare nuovi strumenti di valutazione di impatto sociale. Contrariamente a quanto avviene in Europa, dove è comune una cultura della valutazione d’impatto anche in materia di formazione professionale, inserimento lavorativo e scelte in materia di salute, in Italia, fino ad oggi, non si è mai andati oltre alla valutazione d’impatto ambientale. Si è voluto quindi fare un salto di qualità inserendo uno strumento di valutazione qualitativa e quantitativa sul breve, medio e lungo periodo degli effetti sulla comunità di riferimento delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni.
Verso un Servizio civile universale
L'articolo 8 sottolinea la necessità di riformare il Servizio civile nazionale volontario per i giovani tra i 18 e i 28 anni, traghettando l’attuale sistema verso un nuovo “servizio civile universale” finalizzato alla difesa non armata della Patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, attraverso la realizzazione di esperienze di cittadinanza attiva, di solidarietà e inclusione sociale. La delega indica inoltre il bisogno di definire uno stato giuridico specifico per chi presta un tipo di servizio che non deve in alcun modo essere associabile ad un rapporto di lavoro e dunque non deve essere soggetto a tassazione. Si richiama il bisogno di pervenire a un meccanismo di programmazione triennale dei contingenti e di prevedere un limite di durata del servizio, non inferiore agli otto mesi complessivi, e comunque non superiore a un anno. L’organizzazione delle attività dovrà contemperare le finalità del servizio con le esigenze di vita e di lavoro del giovane, le cui competenze acquisite sul campo andranno riconosciute e valorizzate. Il Servizio civile universale è ora aperto anche agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. 7
Fiscalità e 5 per mille
Con l'articolo 9 si intende raccordare la disciplina civilistica con quella tributaria, risolvendo problemi interpretativi che negli anni hanno aumentato enormemente il contenzioso e reso spesso difficile la vita alle associazioni dove più forte è lo spirito associativo e volontario, che si sono trovate a fare i conti con richieste a volte difficilmente comprensibili. La materia dovrà essere totalmente revisionata, secondo criteri che dovranno orientare le misure agevolative e di sostegno del Governo. Prevista anche, in favore degli enti, l’assegnazione di immobili pubblici inutilizzati, nonché dei beni immobili e mobili confiscati alla criminalità organizzata. L’articolo delega inoltre l’Esecutivo a riformare la disciplina del 5 per mille, indicazione pure contenuta nella delega fiscale, legge n. 23 del 2014. Già nella Legge di stabilità 2015 si è proceduto ad innalzare il limite per la deducibilità e la detraibilità delle erogazioni liberali e a stanziare 500 milioni di euro a sostegno di questo strumento. Nella delega in oggetto si chiede stabilità a questo importo e si indicano criteri più selettivi e un sistema più trasparente sull'uso dei fondi. Infine, è istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo articolato in due sezioni (la prima di carattere rotativo, con una dotazione di 10 milioni di euro, la seconda di carattere non rotativo, con una dotazione di 7,3 milioni di euro) destinato a sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale attraverso il finanziamento di iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni.
Istituzione della Fondazione Italia Sociale
L’articolo 10 istituisce la “Fondazione Italia Sociale”, con una dotazione di 1 milione di euro, allo scopo di sostenere, mediante l'apporto di risorse finanziarie e di competenze gestionali, la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi da parte di enti del Terzo settore, caratterizzati dalla produzione di beni e servizi con un elevato impatto sociale e occupazionale e rivolti, in particolare, ai territori e ai soggetti maggiormente svantaggiati. La Fondazione, nel rispetto del principio di prevalenza dell'impiego di risorse provenienti da soggetti privati, svolge una funzione sussidiaria e non sostitutiva proprio dell'intervento pubblico ed è soggetta alle disposizioni del codice civile, delle leggi speciali e dello statuto, senza obbligo di conservazione del patrimonio o di remunerazione degli investitori. è stata pensata come una istituzione capace di attrarre le donazioni di imprese e cittadini – prestiti, erogazioni a fondo perduto o anticipazioni di capitale –a favore degli enti del Terzo settore.
Relazioni annuali
Infine l'articolo 12 prevede che entro il 30 giugno di ogni anno il Ministero del lavoro e delle politiche sociali trasmetta alle Camere una relazione sull'attività di vigilanza svolta ai sensi dell'articolo 7. S’intende così rafforzare il ruolo del Parlamento in ordine al controllo, stimolo e indirizzo dell'azione del Governo.